Editoriale

Quelle foto che fanno la storia

Oggi il dolore si dice attraverso i primi piani scattati dai photo-reporter a quei bambini migranti che ogni giorno cercano, assieme alle loro famiglie, di assicurarsi un futuro cercando di varcare attraversano i confini della Grecia, della Macedonia e dell’Ungheria

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I nostri lettori più affezionati ricorderanno perfettamente l’editoriale scritto qualche tempo fa intitolato “Nessuno tocchi i bambini”. Un pezzo che, su base di fonti e storie, cercava far luce sul dramma di tutti quei bambini, vittime delle milizie del terrorismo islamico.

Questa volta però, malgrado il mestiere del giornalista imponga un riferimento a storie e fatti dichiarati tramite la parola, abbiamo deciso di farne a meno per il semplice fatto che, in questi giorni, a narrare il dolore e la disperazione le parole non sono più così indispensabili. Questo a mostrare come molte volte basta una fotografia a fermare l’istante del dolore profondo dell’anima fragile di un bambino.

Spesso le immagini sono state testimoni e voci narranti di Storia e di storie che altrimenti sarebbero rimaste nel cassetto del non-detto. Tutti ricorderemo l’immagine del bambino del ghetto di Varsavia con le braccia alzate in segno di resa di fronte al fucile di una SS che spesso campeggia sui libri di storia, o gli occhi vuoti di fanciulli che dietro il filo spinato del campo di concentramento di Auschwitz, mostrano il loro numero tatuato sul braccio. Ma il ‘900 purtroppo è pieno di queste foto. Infatti, non sono di certo passate inosservate sia l’immagine della bambina che scappa terrorizzata nuda e a bocca spalancata durante la guerra in Vietnam, sia Marcy, detta anche “lady polvere”, sopravvissuta all’attentato dell’11 Settembre e che qualche mese fa ha perso la vita per un cancro allo stomaco. La sua foto fece il giro del mondo e già da sola, senza alcun bisogno che Lei testimoniasse nulla a parole, raccontava il dramma, la paura e l’orrore di quei terribili istanti passati a lottare tra le polveri e le ceneri della morte.

Purtroppo anche oggi il dolore si dice attraverso i primi piani scattati dai photo-reporter a quei bambini migranti che ogni giorno cercano, assieme alle loro famiglie, di assicurarsi un futuro cercando di varcare attraversano i confini della Grecia, della Macedonia e dell’Ungheria. Le foto dei loro volti stanno scrivendo pagine e pagine di storia senza che ce ne accorgiamo. Una storia che narra di altri e tanti esodi dall’Asia e dall’Africa verso il nostro ricco continente europeo. Bambini che gridano la loro incredulità di fronte ad un muro di militari in mimetica e giubbotto antiproiettile armati di scudo. Una storia che si ripete mentre i nostri occhi rivivono l’orrore delle pratiche naziste, di fronte alla poliziotta che marchia il braccio di una bambina come fosse merce da smistare e catalogare. Inchiostro che prende il posto di una carezza e di un abbraccio.

Ma a soffocare di lacrime i nostri occhi e a darci il definitivo pugno nello stomaco, senza il quale la coscienza Europa non si sarebbe mai mossa, arriva l’immagine del corpicino adagiato sulla spiaggia di Aylan, il bambino siriano morto in uno dei tanti naufragi. Ad oggi, questa foto pare abbia avuto lo stesso valore di quella della strage del mercato scattata a Sarajevo, nel lontano 1995. Furono quelle immagini di un mercato devastato e corpi fatti a pezzi che destarono le coscienze del mondo e delle Nazioni Unite.

Non crediamo dunque, come titolano i molti giornali, che la foto di Aylan ritragga la morte l’Europa. Il sacrificio di quel bambino deve interrogarci. La sua morte ha fatto rinascere a nuova vita un’Europa che, fino ad ora, aveva preferito nascondere la testa sotto la sabbia, voltando le spalle per non vedere e scaricando sulle spalle dei paesi esposti agli sbarchi qualsiasi responsabilità. Ad oggi l’Europa deve aprire i suoi confini e reinserire nel suo vocabolario un termine ormai dimenticato: ospitalità. Ospitare per donare a questi uomini migranti sulla Terra, nuova vita. Solo così Aylan potrà risorgere, perché solo così il suo sacrificio non sarà stato vano.

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