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NATALE IN ABRUZZO: ALLA SCOPERTA DI ANTICHE TRADIZIONI PERDUTE

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Dal Martino cartaceo n.23 del 21.12.2015

Il Natale è la festa più importante, insieme alla Pasqua, per i cristiani.

Potrà sembrare strano ma il periodo tra il 17 e il 24 dicembre era un periodo di grandi feste anche per gli antichi Romani.

Non festeggiavano certo il bambin Gesù, la cui nascita era ancora lungi da venire, bensì il dio Saturno, dio dell’agricoltura.

Anche loro usavano scambiarsi regali e banchettavano abbondantemente in quei giorni di festa,

Forse proprio per contrastare il diffondersi di questa festa pagana, con l’avvento del cristianesimo,

si decise di scegliere proprio il 25 dicembre come il giorno della nascita di Cristo.

Non abbiamo certo la presunzione di partire da così lontano alla ricerca delle tradizioni natalizie del nostro territorio, ci accontentiamo dei racconti dei nostri nonni.

Non vogliamo che l’oblio cada su queste storie fantastiche, dobbiamo fare il possibile per non far finire nel dimenticatoio le tradizioni che da chissà quante generazioni si sono tramandate di padre in figlio fino ad arrivare ai nostri giorni.

Vogliamo oggi descrivere solo alcune delle tradizioni natalizie abruzzesi, sperando che altre ne vengano segnalate da voi lettori scrivendo o telefonando al nostro giornale.

 

Il rito del ceppo

Sono molte le zone d’Abruzzo nelle quali si svolgeva questo rito, che consiste nel bruciare un ceppo, scelto già al momento della provvista della legna, e farlo ardere, con l’aggiunta di altra legna nel corso dei giorni, dalla sera della Vigilia alla notte di Capodanno.

Il rito coinvolgeva tutta la famiglia, che al momento di porre il ceppo (anche detto “tecchie”) all’interno del camino, recitava in coro: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane. Ogni grazia di Dio entri in questa casa. Le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina e si riempia la conca di vino”; dopodiché i bambini divenivano i protagonisti, cantando “Ave Maria del Ceppo”, una filastrocca che aveva il potere di far trovare loro qualche regalino la mattina successiva (un frutto, una bambola fatta con la lana di qualche vecchia maglia…ci si accontentava di poco).

Il ceppo ardente chiaramente simboleggiava l’anno che lentamente si consumava e portava con sé tutto ciò che di negativo era accaduto.

Quando poi, la mattina di Capodanno, il fuoco si spegneva, i carboni venivano riaccesi e la cenere, considerata sacra, veniva sparsa tra le zolle per rendere la terra più fertile.

La Squilla

Le origini di questa tradizione, tipica di Lanciano, risalgono agli anni che vanno dal 1588 al 1607, quando l’arcivescovo lancianese Tasso, il 23 dicembre, partiva scalzo dal suo palazzo e camminava per 3 km fino alla chiesa dell’Iconicella.

Tutto il pellegrinaggio avveniva con il sottofondo del suono di una campanella (la Squilla, appunto) suonata dal vescovo.

Il cammino del vescovo, seguito dai suoi fedeli,  voleva simboleggiare il cammino dei pastori che lentamente si dirigevano verso la grotta di Betlemme.

Il rito continua a svolgersi e ancora oggi, quando nel pomeriggio del 23 dicembre si ode il rintocco della campana, è segno che le festività natalizie possono prendere il via.

La Farchia di Tufillo

Spostiamoci ora nella zona del teatino, in particolare nel piccolo borgo di Tufillo, dov’è radicata un’usanza anch’essa legata al fuoco.

Si parla infatti della “farchia”, ovvero un tronco (che talvolta arriva ai 20 metri di lunghezza) intorno al quale sono collocati tronchi di minori dimensioni fino a formare un fascio di legna, tenuto insieme da anelli di ferro.

Una volta terminata la “preparazione” della farchia, quest’ultima viene trainata, il pomeriggio della vigilia di Natale, da alcuni abitanti del luogo attraverso il centro storico, mentre tutti gli altri concittadini osservano e salutano il corteo.

La processione continua fino a un luogo di ristoro, dove i portatori del tronco si fermano per rifocillarsi con dolci, vino e musica. Dopo la breve pausa il cammino riprende fino ad arrivare alla chiesa di Santa Giusta, quando ormai si è fatta mezzanotte.

Qui, dopo la benedizione del parroco, si dà fuoco alla farchia mentre gli spettatori intonano canti natalizi.

Numerosi sono gli aneddoti legati a questo rito, alcuni tragici, come la morte di un partecipante alla processione, e altri decisamente più allegri, che vedono faide tra Tufillo e i paesi confinanti per la conquista del tronco più adatto.

 

 

 

 

 

 

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