Ancona

Fallimenti pilotati e riciclaggio di proventi illeciti: sequestri per 32 milioni di euro

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32 «bancarottieri seriali», presenti anche ad Ancona, individuano aziende storiche e consolidate, ma in crisi, per depredarle dopo averle condotte verso fallimenti pilotati.

Su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, i militari della Guardia di Finanza hanno eseguito il sequestro preventivo di beni per 32 milioni di euro e 25 misure cautelari, di cui 15 arresti, per  reati fallimentari e tributari ed il conseguente riciclaggio dei proventi illeciti, disposti dal Gip Andrea Salvatore Romito. 32 in tutto le persone, cinesi ed italiane, denunciate in diverse località del Paese, tra le quali Ancona, con l’accusa di aver provocato fallimenti pilotati per depredare gli asset di aziende in crisi, ma solide e storiche, e di aver riciclato i proventi.

In base alle ipotesi degli inquirenti, i «bancarottieri seriali» cercavano aziende in crisi, ma dagli asset strategici e consolidati, da rilevare e poi pilotare verso il fallimento, dopo un’accurata azione di «sciacallaggio».

I membri del sodalizio, nel 2020 si sono introdotti in un gruppo composto da una holding e 3 srl controllate, attivo nel settore della dermocosmesi e della grande distribuzione organizzata, con 32 punti vendita, soprattutto al nord est. 25 di questi sono stati trasferiti verso new-co riconducibili all’associazione, poco prima del fallimento. In questo modo sono stati anche evasi 3,3 milioni di euro di tributi all’Erario. Anche la gestione delle assunzioni e dei contratti di lavoro è sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle, secondo cui sarebbero state commesse attività illecite che avrebbero permesso al gruppo di lucrare anche sui collaboratori.

I proventi illeciti, venivano investiti verso altre attività imprenditoriali, ad esempio un noto prosciuttificio di Parma. Prima però, era necessario ripulire questi fondi e per farlo il gruppo si appoggiava a tre società cartiere attive nel milanese e riconducibili a titolari di origine cinese, che in un anno hanno emesso false fatture per 7 milioni di euro ed effettuato bonifici per 11 milioni.

Il meccanismo della cosiddetta Chinese Underground Bank prevede meccanismi “triangolari” di compensazione informale del denaro movimentato. In sostanza, i fondi illecitamente guadagnati grazie ad operazioni commerciali inesistenti, veniva immediatamente inviato in Cina, da dove tornava ripulito.

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